Commemorati anche Paolo Borsellino e la scorta a 29 anni dalla strage di Via D’Amelio
“Un altro mondo è possibile, era lo slogan coniato nel primo incontro a Porto Alegre, dal Forum Sociale Mondiale, nato in contrapposizione al Forum Economico Mondiale di Davos. Un “contro-forum” di protesta contro i processi di globalizzazione dell'economia e di tutto quanto a essa connesso.
Il 19 luglio 2001, a Genova, si svolse una manifestazione di protesta no-global contestualmente allo svolgimento della riunione del G8. Le ragioni della protesta dei movimenti e quale fosse il contesto politico e sociale di quegli anni, tra la fine dei ‘90 ed i primi del 2000 – ha ricordato il presidente del consiglio comunale Luca Milani – sono importantissimi da recuperare, perché le azioni dei black bloc, la repressione indiscriminata della polizia e l’uccisione di Carlo Giuliani hanno poi oscurato i motivi della manifestazione. E qualche mese dopo, con gli attentati dell’11 settembre negli Stati Uniti, quell’altro “mondo possibile” è sembrato svanire. Le priorità sono cambiate e le forze sono confluite nel movimento pacifista contro la “guerra al terrore” di George W. Bush.
In quell’estate di vent’anni fa in Italia si è aperta una ferita che non è stata ancora rimarginata. Quel rovesciamento momentaneo dei codici democratici ha modificato per sempre il rapporto degli italiani con la vita politica e l’impegno sociale.
Recuperare a distanza di 20 anni quelle ragioni, è indispensabile per capire il presente. La drammatica sottovalutazione delle istanze poste dal “movimento dei movimenti”, in particolare il grave, accelerato e progressivo deterioramento dei diritti umani fondamentali, economici, sociali e culturali da una parte e l'uso della forza e delle armi da parte delle forze dell'ordine in contrasto alla garanzia dell'ordine pubblico costituzionale.
Su entrambi i temi, purtroppo, assistiamo ancora oggi alla prevaricazione di chi può approfittarsi sull’uomo, del profitto sull’umanità. La vicenda Bekeart prima, e GKN di questi giorni, non sono altro che la manifestazione di un completo disinteresse delleconomia per le vicende umane, un completo disinteresse delle più elementari e semplici regole di responsabilità etica dell’impresa. Voglio ringraziare il Sindaco – ha aggiunto il presidente Milani – per la sua partecipazione e per aver disposto la presenza del Gonfalone della città alla manifestazione di stamani.
Ma anche la terribile vicenda che arriva dal carcere di Santa Maria Capua a Vetere, dove i detenuti sono stati umiliati, pestati e torturati perché avevano osato protestare per il proprio diritto alla salute. Insieme al giusto sdegno per quanto accaduto è necessario rimettere insieme tutti gli elementi per contestualizzare il nostro regime carcerario, le difficoltà nelle quali si trovano detenuti ma anche personale di custodia, volontari, operatori. Anche a Firenze, nel nostro carcere cittadino, sappiamo bene quali sono le condizioni con una popolazione detenuta che è quasi due volte quella regolamentare. I disagi per il caldo, le celle chiuse senza possibilità di movimento, poche possibilità di lavoro e di attività di svago. Giorni fa, alcuni detenuti hanno occupato parte del tetto di una torre e hanno desistito dalle proteste solo dopo diverse ore di trattativa.
Ma quello che non possiamo permetterci è di non prendere tutti le distanze dai comportamenti sbagliati dei rappresentanti dello stato. A partire da chi lo stato lo rappresenta nelle Istituzioni. Lo stato siamo noi, cioè tutti coloro che sono per i diritti e doveri costituzionali e dobbiamo essere in grado di farli valere, non solo per qualcuno ma per tutti, indistintamente.
Ancora, sempre il 19 Luglio, ma del 1992 si è svolto l’eccidio di Paolo Borsellino e dei cinque agenti di scorta. A ventinove anni dall’inferno di via D’Amelio – ha proseguito il presidente del Consiglio comunale – molti degli interrogativi del 1992 rimangono intatti, nonostante 14 processi e la condanna del “gotha” di Cosa nostra.
In questo lungo lasso di tempo si è consumato una forma di depistaggio permanente che precede e segue la strage in cui morirono Paolo Borsellino e i cinque agenti di scorta. È a loro che voglio dedicare questo momento, perché sono stati al servizio dello Stato fino al massimo sacrificio. Tutti insigniti della Medaglia d'Oro al Valor Civile per aver assolto il proprio compito con grande coraggio e assoluta dedizione al dovere, pur consapevoli dei gravi rischi cui si esponevano. Quest’anno si celebra il 40° della nascita della Polizia di Stato, una forza non più militare, con nuove regole che abbandona le stellette e adotta la formella ispirata da quella di Lorenzo Ghiberti che si ammira nel nostro battistero.
I cinque agenti stavano accompagnando il giudice in visita a casa della madre. Una volta Agnese Borsellino raccontò: “Mio marito mi disse ‘quando decideranno di uccidermi i primi a morire saranno loro’, per evitare che ciò accadesse, spesso usciva da solo a comprare il giornale e le sigarette quasi a mandare un messaggio ai suoi carnefici perché lo uccidessero quando lui era solo e non in compagnia dei suoi angeli custodi”. Chi erano: Agostino Catalano, capo scorta, aveva 43 anni e tre figli avuti dal matrimonio con Maria Pace, morta per un tumore. Si era sposato da poco con Maria Fontana. Solitamente era assegnato alla scorta di padre Bartolomeo Sorge. Il giorno della Strage di via d’Amelio era in ferie, ma per una tragica fatalità era stato chiamato al fine di raggiungere un numero sufficiente di uomini per la scorta del giudice Borsellino. Appena poche settimane prima aveva salvato un bambino che stava per annegare in mare, dinanzi alla spiaggia di Mondello. Walter Eddie Cosina, agente scelto, nato a Norwood, in Australia, da una famiglia di origine triestina emigrata nel dopoguerra, tornata in Italia a metà degli anni Sessanta. Orfano di padre a soli 21 anni, nel 1983 era entrato nella Digos e a partire dal 1990 nel nucleo anti-sequestri e poi presso la divisione anticrimine. Era sposato. Dopo la Strage di Capaci vennero richiesti agenti di scorta in tutta Italia e Cosina aveva accettato di spostarsi da Trieste a Palermo. Il giorno della strage era di servizio al posto di un collega. Claudio Traina. Dopo aver svolto il servizio militare nell’aeronautica, aveva deciso di entrare in polizia. Dopo aver frequentato il corso di formazione, era entrato a far parte della squadra volanti a Milano per poi essere trasferito, su sua richiesta, a Palermo. Nel 1990 si fece assegnare all’ufficio scorte. Aveva solo 27 anni ed era sposato e padre di un bimbo di solo undici mesi. Emanuela Loi, agente; fu la prima donna poliziotto a morire in una strage di mafia. Entrò nella Polizia di Stato nel 1989 e frequentò il corso presso la Scuola di Trieste. Fu trasferita a Palermo due anni dopo. Tra i diversi incarichi le furono affidati i piantonamenti a casa dell’allora parlamentare Sergio Mattarella, la scorta alla senatrice Pina Maisano (vedova di Libero Grassi) e il piantonamento del boss Francesco Madonia. Dopo la strage di Capaci, nel giugno del 1992 venne affidata al magistrato Paolo Borsellino. Aveva 24 anni quando cadde nell’adempimento del proprio dovere. Vincenzo Li Muli. Il suo sogno era quello di diventare poliziotto. Ci riuscì nel 1990, e nella primavera del 1992 fu assegnato alla Questura di Palermo. Era fidanzato con Vittoria, con cui voleva sposarsi e costruire una famiglia. Guardando le immagini della strage di Capaci in televisione, pianse amaramente davanti alla vigliaccheria di chi sceglieva il tritolo e non permette di difendersi e di lottare. Fu in quel momento che prese la sua decisione e nonostante i rischi che sapeva di correre, si fece assegnare alla scorta del giudice Borsellino. Aveva solo 22 anni ed era il più giovane della squadra. Antonino Vullo. L’unico sopravvissuto di quel giorno. Si è salvato perché stava parcheggiando l’auto. Così racconta quel giorno: “Il giudice e i miei colleghi erano già scesi dalle auto, io ero rimasto alla guida, stavo facendo manovra, stavo parcheggiando l'auto che era alla testa del corteo. Non ho sentito alcun rumore, niente di sospetto, assolutamente nulla. Improvvisamente è stato l'inferno. Ho visto una grossa fiammata, ho sentito sobbalzare la blindata. L'onda d'urto mi ha sbalzato dal sedile. Non so come ho fatto a scendere dalla macchina. Attorno a me c'erano brandelli di carne umana sparsi dappertutto”. A loro – ha concluso il presidente del Consiglio comunale Luca Milani – ed ai tanti servitori onesti e silenziosi della nostra Repubblica, va il ricordo sincero del Consiglio comunale, nella speranza che non si debbano piangere nuove vittime di mafia”. (s.spa.)