Il presidente del Consiglio comunale Luca Milani ha ricordato il rapimento Moro e chiesto la piena verità anche sulle altre stragi che hanno colpito il nostro Paese, sugli esecutori e sui mandanti

“Poco dopo le ore 9 del 16 marzo 1978 un commando delle Brigate Rosse entrò in azione a Roma in via Fani e, dopo aver ucciso i cinque agenti della scorta Oreste Leonardi, Domenico Ricci, Giulio Rivera, Francesco Zizzi e Raffaele Iozzino, rapì il presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro che fu ucciso il 9 maggio successivo dopo un sequestro di 55 giorni.

Il contesto in cui avvenne il rapimento di Aldo Moro – spiega il presidente del Consiglio comunale Luca Milani – è quello della cosiddetta grande distensione all’interno della Guerra Fredda tra i due blocchi, est e ovest. Ciò si rifletteva anche nel panorama italiano in quanto aveva favorito una collaborazione di governo in particolare, dopo le elezioni del 1976, il Partito Comunista, per la prima volta dal 1947, non aveva votato contro il governo e si era astenuto.

Anni decisamente complicati da leggere e da decifrare, macchiati da fenomeni stragisti in parte ancora oscuri come ebbe a dire anche Pier Paolo Pasolini, del quale ricorre il centenario della nascita, nel famoso editoriale del Corriere della sera (14 novembre 1974) intitolato «Cos’è questo golpe? Io so», nel quale Pasolini alla luce delle prime stragi di Stato dell’epoca (Milano, Brescia e Bologna), rimaste senza colpevoli - cioè senza esecutori e senza mandanti, sosteneva di sapere i nomi dei responsabili di tutto quel che era successo dopo il ’68 (golpe e stragi), ma che non poteva rivelarli perché non aveva le prove.

Dall’analisi pasoliniana sono trascorsi - adesso - altri quarantacinque anni, alcune verità sono emerse ma per molte stragi i mandanti sono ancora un mistero. Le stragi di Stato - e i delitti di Stato - si sono susseguiti, con macabra cadenza. Lo stragismo sfociò persino nel delitto Moro. Tutto ciò – prosegue il presidente Milani – trova conferma nelle parole pronunciate da Roberto Scarpinato, procuratore generale a Palermo, andato in pensione dopo 42 anni di servizio e di lotta alla mafia proprio ad inizio anno, che ha descritto il filo d’acciaio che si è dipanato dalla strage di Portella della Ginestra (1947) sino a Capaci, via d’Amelio, Roma, Milano e Firenze. Il collante comune di questo stragismo apparentemente oscuro è il ruolo dei servizi segreti, civili e militari a seconda dei casi, nella gigantesca opera di depistaggio dell’attività della magistratura per impedirle di scoprire la verità.

È nostro compito continuare a chiedere, senza fine, la piena verità su queste stragi sugli esecutori e sui mandanti, potremmo scoprire veramente – conclude il presidente del consiglio comunale Luca Milani – un intreccio tra terrorismo, organizzazioni mafiose e malavitose e pezzi deviati dello Stato come denunciato 45 anni fa dal Pier Paolo Pasolini”. (s.spa.)

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