Il Consiglio comunale di Firenze ha ricordato solennemente Paolo Borsellino, Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Emanuela Loi, Claudio Traina e Vincenzo Fabio Li Muli.
“Lo scorso 21 marzo, in occasione della giornata della Memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti di mafia, abbiamo ospitato in questa sala – ha ricordato il presidente del Consiglio comunale Luca Milani – il Direttore della Direzione Investigativa Antimafia, Dr. Maurizio Vallone, poi abbiamo ricordato il trentennale della strage di capaci (23 maggio 1992), della strage dei Georgofili (26/27 maggio 1993) ed oggi commemoriamo la strage di via D’Amelio (19 luglio 1992) proprio alla sua vigilia, chiudendo questo percorso ospitando in Consiglio il direttore Francesco Nannucci responsabile della sezione fiorentina della DIA.
“La lotta alla mafia dev’essere innanzitutto un movimento culturale che abitui tutti a sentire la bellezza del fresco profumo della libertà che si oppone al puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità”.
Possiamo considerare queste parole come il testamento spirituale di Paolo Borsellino ucciso a soli 52 anni. Un uomo dal grande temperamento, con uno spirito tutt’altro che arrendevole. Persona allegra, solare, con l’obiettivo di rendere la Sicilia un posto libero dalle costrizioni. Amico fraterno di Giovanni Falcone, di cui prese il testimone quando fu assassinato insieme alla sua scorta e sua moglie la dottoressa Morvillo nella strage di Capaci.
Paolo Borsellino visse altri 57 giorni rispetto a Falcone e in quei giorni – ha continuato Milani – non fece altro che indagare sulla morte del suo amico, appuntando tutte le sue riflessioni su un’agenda rossa dono dell’Arma dei Carabinieri.
Il “mistero dell’agenda rossa” perdura ancora perché se ne è persa ogni traccia dal momento dell’attentato al magistrato in quella via diventata tristemente nota.
È una domenica, sono quasi le cinque del pomeriggio quando Paolo Borsellino arriva in via D’Amelio per il consueto saluto alla madre che abita in quella strada.
“Improvvisamente è stato l’inferno. Ho visto una grossa fiammata, ho sentito sobbalzare la blindata. L’onda d’urto mi ha sbalzato dal sedile. Non so come ho fatto a scendere dalla macchina. Attorno a me c’erano brandelli di carne umana sparsi dappertutto”.
Questa la testimonianza di Antonino Vullo, agente di scorta sopravvissuto.
Nessuno, a parte Antonino, si salvò in quella strage. Ci fu anche la prima vittima donna, Emanuela Loi, agente di polizia addetta alla protezione del magistrato.
Per Paolo Borsellino, così come per tutti coloro che vivono sotto scorta, sapere che la sopravvivenza di altre persone è correlata alla propria è un tormento quotidiano.
30 anni dalle stragi di Capaci e via D’Amelio, Il 1992, si allontana lento ma inesorabile, trascinando nell’oblio tutti i misteri di uno dei fatti più inquietanti della storia della Repubblica.
Pochi giorni – ha aggiunto il presidente del Consiglio comunale – fa il tribunale di Caltanissetta ha dichiarato prescritte le accuse per due dei tre poliziotti imputati di aver depistato le indagini sulla strage di via d’Amelio. I due, accusati di calunnia con l’aggravante dell’agevolazione mafiosa, avrebbero indotto e forzato le false confessioni di Vincenzo Scarantino, l’uomo che nel 1992 mentì sulla sua partecipazione all’attentato, dando luogo a un depistaggio che avrebbe portato alla condanna di persone innocenti.
“Non parteciperemo agli anniversari di via D’Amelio. Ci asterremo fino a quando lo Stato non ci spiegherà cos’è accaduto davvero”.
Così Fiammetta Borsellino, figlia del giudice assassinato insieme alla sua scorta, ha annunciato la volontà di disertare tutte le cerimonie previste in ricordo del padre. E così tutti gli altri familiari, congiunti, superstiti tutti concordi con questa posizione per perseguire verità e giustizia.
I funerali di Paolo Borsellino si tennero il 24 luglio in forma privata. La moglie, Agnese, rifiutò quelli di Stato in quanto accusava il governo di non aver saputo proteggere a dovere suo marito. Non fu accettata la presenza di politici. Era presente solo il presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro. In compenso, ci furono diecimila persone comuni che vollero salutare il giudice. I siciliani erano lì, persone stanche e emotivamente lacerate che gridavano “fuori la mafia dallo Stato”. Tra i partecipanti Antonino Caponnetto, capo del Pool Antimafia, che aveva scelto Giovanni Falcone e Paolo Borsellino (insieme ad altri magistrati) per preparare il famoso e incredibile maxi processo alla mafia. Dopo pochi minuti dalla strage, Caponnetto era sul luogo e alla domanda di un giornalista che gli chiese “Non c’è alcuna speranza per questa città?”, egli risponde “È finito tutto” e strinse forte le mani di quel giornalista con gli occhi addolorati e tristi di chi credeva davvero che con la fine di Borsellino non ci fosse più una possibilità. Invece altre persone hanno raccolto quella eredità e la guerra alla mafia va avanti anche grazie alla DIA, istituita all’indomani della strage di Capaci. Prima di dare la parola al Dott. Nannucci, saluto il Capogruppo Draghi ed il Consigliere Asciuti in viaggio verso Palermo per partecipare domani alle cerimonie istituzionali”. (s.spa.)