Cerimonia in Palazzo Vecchio
A trent’anni dagli attentati che costarono la vita ai giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino il Presidente del Consiglio comunale, unitamente al Consiglio comunale, con la vice sindaca Alessia Bettini, le assessore Benedetta Albanese e Sara Funaro, gli assessori Cosimo Guccione e Stefano Giorgetti hanno onorato la loro memoria con una cerimonia, col Gonfalone del Comune di Firenze, presso la lapide intitolata ai giudici Falcone e Borsellino ed agli agenti della scorta situata nel cortile della Dogana di Palazzo Vecchio.
La cerimonia ha commemorato, oltre che Giovanni Falcone anche Francesca Morvillo e gli agenti della scorta assassinati nelle stragi di Capaci: Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani e coloro che sono caduti il 19 luglio nell'attentato a Paolo Borsellino e gli agenti di via D'Amelio: Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Emanuela Loi, Claudio Traina e Vincenzo Fabio Li Muli. Alla cerimonia hanno partecipato Giuseppe Creazzo (Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Firenze), don Andrea Bigalli (Referente Regionale Libera Toscana), Giuseppe Quattrocchi, già Capo della Procura di Firenze ed Ornella Rosolino, membro della Fondazione Caponnetto.
“Roberto Scarpinato, procuratore generale a Palermo andato in pensione dopo 42 anni di servizio e di lotta alla mafia proprio ad inizio anno, ha descritto il filo d’acciaio che si è dipanato dalla strage di Portella della Ginestra (1947) sino a Capaci, via d’Amelio, Roma, Milano e Firenze. Il collante comune di questo stragismo, apparentemente oscuro – ha detto il presidente del Consiglio comunale Luca Milani – è il ruolo dei servizi segreti, civili e militari a seconda dei casi, nella gigantesca opera di depistaggio dell’attività della magistratura per impedirle di scoprire la verità.
È nostro compito continuare a chiedere, senza fine, la piena verità su queste stragi, sugli esecutori e sui mandanti, potremmo scoprire veramente un intreccio tra terrorismo, organizzazioni mafiose e malavitose e pezzi deviati dello Stato come denunciato già 45 anni fa da Pier Paolo Pasolini nel suo famoso articolo “Io so. Ma non ho le prove”.
Anche la figlia del Giudice Borsellino, Fiammetta, in un’intervista a Repubblica dichiara: «C’è stata la mano armata di Cosa Nostra, ovviamente, ma anche chi a questa mano armata ha spianato la strada, consegnando le teste di Falcone e Borsellino su un piatto d’argento. L’ormai famosa convergenza di interessi di cui parlava Falcone. Io oggi da figlia sono consapevole che mio padre è morto perché è stato abbandonato dai suoi colleghi».
Il 30 aprile 1982 viene assassinato a Palermo Pio La Torre, deputato e segretario regionale del Pci siciliano. Con lui, nella macchina crivellata dai colpi dei sicari di Cosa Nostra, c’è Rosario Di Salvo, il compagno di partito che gli faceva da autista e guardia del corpo. La Torre si era battuto per l’approvazione della legge – ha aggiunto il presidente Luca Milani – che introduceva il reato di associazione mafiosa e la confisca dei beni ai mafiosi. Per la sua uccisione, il 12 gennaio 2007, sono stati condannati 9 boss, fra cui Riina e Provenzano.
Pier Paolo Pasolini, nel 1974, scriveva sul Corriere della Sera: «Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi. Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che rimette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l’arbitrarietà, la follia e il mistero. Tutto ciò fa parte del mio mestiere e dell’istinto del mio mestiere. Credo che sia difficile che il “progetto di romanzo” sia sbagliato, che non abbia cioè attinenza con la realtà, e che i suoi riferimenti a fatti e persone reali siano inesatti. Credo inoltre che molti altri intellettuali e romanzieri sappiano ciò che so io in quanto intellettuale e romanziere. Perché la ricostruzione della verità a proposito di ciò che è successo in Italia dopo il 1968 non è poi così difficile. Tale verità – lo si sente con assoluta precisione – sta dietro una grande quantità di interventi anche giornalistici e politici: cioè non di immaginazione o di finzione come è per sua natura il mio». (s.spa.)