Anniversario Liberazione, Nardella: “La libertà ha bisogno di valori e regole per essere mantenuta. La Costituzione è la loro custode principale”

L’intervento del sindaco sull’Arengario di Palazzo Vecchio

Sono iniziate stamani alle 7 con i rintocchi della Martinella le celebrazioni del 74esimo anniversario della Liberazione di Firenze. Dopo il suono della campana della Torre di Arnolfo di Palazzo Vecchio, che l’11 agosto 1944 annunciò alla città il ritorno alla libertà e alla democrazia, le celebrazioni sono continuate alle 9.45 in piazza Santa Croce, dove si è tenuta la cerimonia solenne dell’Alzabandiera con la deposizione di una corona di alloro da parte delle autorità civili, religiose e militari e il ricordo dei caduti di tutte le guerre con le preghiere di suffragio. A seguire corteo diretto a Palazzo Vecchio, con al seguito i Gonfaloni di Firenze, della Regione Toscana, della Città metropolitana e dei vari Comuni dell’area fiorentina, oltre ai labari della federazione delle associazioni partigiane e delle associazioni d’arma e combattentistiche.

Sull’Arengario di Palazzo Vecchio, in piazza della Signoria, si sono tenuti poi l’intervento del sindaco Dario Nardella, l’orazione di Renato Romei, membro della segreteria provinciale dell’Anpi di Firenze, e un saluto dell’ex presidente del Sudafrica e membro dell’ANC (African National Congress) Petrus Kgalema Motlanthe, attualmente trustee della Nelson Mandela Foundation,  in questi giorni a Firenze in occasione dei 100 anni dalla nascita di Mandela, simbolo della lotta all’apartheid e alla segregazione razziale contro i neri.

 

 

Di seguito l’intervento del sindaco Nardella:

 

 

“Autorità civili, militari, religiose, signor presidente Motlanthe, signor ambasciatore del Sudafrica, cari amici delle associazioni partigiane e combattentistiche, cari cittadini, benvenuti in piazza della Signoria e buona Liberazione a tutti.

Grazie per essere numerosissimi. Vorrei dire, nella mia quinta occasione di saluto dell’11 agosto, che mai come oggi ho visto così tanta partecipazione. Questo è un segno bellissimo, che tutti potranno comprendere, apprezzare e condividere. Fatemi salutare in particolare i tanti colleghi sindaci che sono qui e che come me portano la fascia tricolore e ne conoscono tutto il peso e il valore. Ci sono i sindaci dei Comuni della provincia di Firenze, ma anche di altri Comuni della Toscana. Un saluto affettuoso e particolare lo rivolgo al gruppo combattentistico Friuli, che è venuto a Firenze, e anche ai rappresentanti della comunità nazionale dei Sikh. Sapete che chi ha combattuto per Firenze, lo ha fatto senza distinzione di sesso, di razza, di religione. Lo ha fatto per un solo motivo: per il valore della libertà. Settantaquattro anni fa Firenze aveva ritrovato questo valore.

La liberazione è stata la battaglia della nostra città per recuperare la libertà, per garantirsi un futuro di pace e democrazia. È stata la battaglia di chi ci ha preceduto per porre fine all’oppressore nazi-fascista. È stata la lunga battaglia dei nostri partigiani, che hanno combattuto ovunque. E da qui vorrei far arrivare un applauso e un saluto grandissimo a Silvano Sarti, che oggi non può essere con noi, ma è qui con il cuore e la passione. Ci sembra di sentire il suo fiume inarrestabile di ricordi. Silvano ti aspettiamo! È stata la battaglia di tutta la popolazione fiorentina, delle donne che concedevano riparo e cure ai partigiani, dei parroci che aprivano le loro chiese ai perseguitati. È stata la battaglia che ha unito uomini del pensiero e dell’azione provenienti da estrazioni completamente diverse, provenienti da culture politiche completamente diverse. Giustamente questa mattina è stato detto che non dobbiamo limitarci a un ricordo astratto, a un esercizio di memoria generica perché è fondamentale partire dalle storie, dalle vite delle persone. Perché sono queste persone, donne e uomini, che hanno portato Firenze alla libertà. E allora la cosa più importante di oggi, che sento di dover dire da sindaco, da rappresentante di questa straordinaria comunità, è il ringraziamento a tutte quelle donne e a tutti quegli uomini che hanno sofferto, che hanno perso la vita a causa dell’oppressione nazi-fascista, delle persecuzioni; a tutti quegli uomini e donne che hanno dato la vita per vincere contro gli oppressori e per liberare la nostra città e il nostro Paese; ai militari di ogni nazionalità, a cominciare dagli alleati che si sono schierati con noi; ai nostri militari italiani e così a tutti i civili. E non dimentichiamo i bambini, inconsapevoli, che hanno dovuto dare la loro vita per una violenza spietata. Bambini deportati, violentati, uccisi, seviziati. È come se oggi noi compissimo lo sforzo di mettere in fila tutte queste persone con la loro vita, la loro esperienza, il loro nome e cognome, i loro rapporti familiari. Tra questi tanti tanti giovani. Alcuni di quei giovani sono ancora qui, più giovani di prima. In quei giorni combatterono per la liberazione di Firenze.

Il 22 luglio scorso purtroppo ci ha lasciato uno di questi giovani, un testimone e un protagonista di quei giorni: il partigiano ‘Sugo’, Marcello Citano, che tutti noi ricordiamo con grande affetto e gratitudine. Insieme all’Anpi è stato ricordato e pianto. Nato a Firenze il 4 dicembre 1926, Marcello aveva ricevuto come nome di battaglia ‘Sugo’, inteso come ‘divertimento’, che rispecchiava il carattere dei suoi 17 anni, quando decise di lasciare Firenze per unirsi alle formazioni partigiane. Quegli ideali di libertà, giustizia ed eguaglianza maturati in quel periodo sulle montagne lo accompagneranno per tutta la sua vita. Non fu un gesto inconsapevole, come a volte si tende a dire dei giovani, che seguiva gli esempi di altri. No! Fu un gesto molto consapevole.

Voglio condividere con voi questa sua citazione, riportata nel libro di Domenico Guarino e Chiara Brilli: ‘Il fascismo è stato innanzitutto un regime di straordinaria oppressione, che ha innescato una volontà di ribellione in un’intera generazione. Uno stato di terrore e di violenza quotidiana. Anche nelle cose più banali. E io a 14 anni sono stato testimone di un episodio che ha segnato per sempre il mio modo di pensare e di agire. Fu in occasione di un discorso alla radio di Mussolini. Come al solito ci avevano fatto radunare nelle piazze per ascoltare. Io ero in piazza a Gavinana e mentre si aspettava un uomo un po’ spazientito dall’attesa esclamò, in fiorentino: ‘Oh quand’è che parla st’omo?’. Bastò quella espressione per scatenare la violenza di un gruppo di fascisti che gli si avventarono addosso e lo picchiarono riducendolo in fin di vita. La scena fu atroce, soprattutto per un ragazzino della mia età”.

Pensiamo a questi ragazzini che a causa del nazifascismo non hanno mai potuto vivere la loro gioventù spensierata, come è diritto per ogni bambino e bambina. Ma sono dovuti crescere e convivere con la violenza fin dai primissimi anni. Oggi vogliamo ricordare il partigiano ‘Sugo’, il comandante Potente Aluigi Barducci e tutti i protagonisti di quei giorni e ringraziarli, ora più che mai, per tutto quello che hanno fatto per noi.

È stata la Liberazione che ha posto le basi per la formazione della nostra democrazia, che ci ha permesso di approvare la nostra Costituzione. Il nostro ordinamento democratico ci ha garantito 74 anni di pace, lo sviluppo dei diritti sociali e individuali, la crescita e il benessere economico, la partecipazione attiva alla vita politica. Tutto ciò nasce in quei giorni del 1944. La liberazione di Firenze, infatti, non è stata solo uno degli episodi che ha portato alla fine della Seconda guerra mondiale, ma è stata un’occasione perché si creasse una nuova società, un nuovo popolo con valori e ideali che poi sono stati impressi nella nostra Carta costituzionale.

La Liberazione è stata una battaglia per la libertà, per la riconquista della libertà perduta, negata dal fascismo e dal nazismo. Ma la libertà, per essere mantenuta, ha bisogno di valori e regole. La Costituzione è la casa di questi valori, ne è la loro custode principale. Una Costituzione ‘viva’, come abbiamo detto molte volte, che certamente cambia e muta le sue declinazioni specifiche con l’evolversi della società, ma che ne mantiene salde le direttrici, come uno scoglio di fronte al quale batte continuamente l’onda del mare.

Voglio ricordare con voi quello che dice la nostra Costituzione: ‘La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità’ come recita l’articolo 2; e che ‘Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali’ come scritto nell’articolo 3 della Costituzione, sulla quale giurano tutti i rappresentanti delle nostre Istituzioni, dal presidente del Consiglio ai ministri fino all’ultimo dei sindaci del nostro Paese.

Non sono parole vuote perché chi non le rispetta compie uno spergiuro. Sono parole piene di significato perché indicano dei comportamenti, degli atteggiamenti, dei principi a cui dobbiamo attenerci. Non siamo tenuti a esercitare una facoltà. Abbiamo il dovere di attenerci a questi valori.  E queste disposizioni costituzionali sono favorite e vissute ogni giorno da molti cittadini, che spesso sono di gran lunga esempio migliore di chi li rappresenta. Sono sempre più convinto che non vi siano alternative allo sviluppo di una società aperta, che guarda al futuro con positività e che contempli insieme il rispetto delle regole e la solidarietà. Perché la legalità è un principio fondamentale del nostro vivere in comunità: non possiamo prescindere dalle regole che ci diamo noi stessi per vivere insieme e non possiamo parlare solo di diritti se non parliamo anche di doveri e non possiamo tollerare situazioni in cui questi diritti e questi doveri vengono sistematicamente infranti. Allo stesso modo però non possiamo pensare a una società che sia priva dei caratteri di solidarietà umana, di accoglienza, di cura verso il prossimo che è in difficoltà.

Questi aspetti sono propri di Firenze, da secoli: Firenze è la città del movimento sindacale democratico, della fabbrica del Pignone, del dialogo interreligioso. Qui è nata in questi mesi la prima scuola italiana per il dialogo interreligioso e ringrazio di cuore il rabbino, il cardinale e l’imam, che hanno voluto fortemente questa Istituzione. Qui e non in altri luoghi. Nella città di sindaci antifascisti e illuminati, come Mario Fabiani, primo sindaco di Firenze del dopoguerra dopo aver scontato 9 anni di carcere per opposizione a Mussolini, e come Giorgio La Pira, il sindaco Santo che ha costruito un nuovo quartiere per far crescere la comunità e rispondere concretamente al bisogno di inclusione. Questa è la città del Social Forum del 2002 ed è anche la città con la più antica Misericordia della storia, degli Angeli del bello, delle realtà sociali e del volontariato. I fiorentini fanno vivere i valori e l’esperienza di 74 anni fa nella loro attività quotidiana. Hanno sempre saputo scegliere tra cultura e ignoranza, ce lo ricorda questa piazza, tra libertà e oppressione, ce lo ricorda il David di Michelangelo che è simbolo di libertà e ribellione contro l’oppressione. Hanno sempre saputo scegliere tra civiltà e oscurantismo, tra dialogo ed egoismo. E la liberazione è lì a dimostrarci che quando è stata imposta una visione di società diversa, i fiorentini sono scesi in strada per riaffermare questi valori. Ieri all’ex presidente del Sudafrica Motlanthe ho mostrato le firme autografe del führer Adolf Hitler e del dittatore Benito Mussolini, che arrivarono a Palazzo Vecchio nel corso della visita del maggio 1938. In molti, durante la parata fastosa e trionfante che accompagnava Hitler accolsero l’appello di un grande uomo, il cardinale Elia Dalla Costa, che solo per questo merita di essere santificato. Perché è stato un grande antifascista. Accolsero l’appello di tenere le imposte delle finestre chiuse, le porte delle loro case chiuse, le porte delle chiese chiuse al passaggio del Male perché questo era in quel 1938. Questo è stata Firenze quando tutti accorrevano a esaltare il potere e quando, ahimè, anche le persone più fragili furono costrette a  piegarsi. Non dobbiamo dimenticare chi siamo, che cosa è questa città. E per questo abbiamo il dovere di essere un esempio per rifondare le basi della nostra società italiana.

Non basta solo il racconto di cosa sono state la Shoah e le persecuzioni della Seconda guerra mondiale, ma è necessario toccare con mano, soprattutto per i nostri ragazzi, che non hanno visto e che spesso non hanno ascoltato da testimoni diretti. Ecco perché abbiamo bisogno come il pane degli incontri dei nostri partigiani con i ragazzi delle nostre scuole, che sono alcuni dei momenti più emozionanti e commoventi, che io stesso ricordo da studente di questa città. E poi la Giornata della Memoria al Mandela Forum, dove si ritrovano le scuole di tutta la Toscana, ad ascoltare i testimoni e anche chi vuole in qualche modo riportare con forza i valori e i ricordi di quel periodo. Un anno fa, visto che si parla di educazione, proprio in questa occasione avevo preso l’impegno di avviare una grande campagna nazionale a favore dell’educazione civica a favore dei ragazzi. Ora ci siamo. Abbiamo lanciato da Firenze, e ora tutti i Comuni italiani aderiscono, la proposta di legge popolare per introdurre l’educazione alla cittadinanza come materia obbligatoria in tutte le scuole di ogni ordine e grado perché è dalle scuole che si ricomincia a studiare la Costituzione e le si dà un valore. È dalle scuole che si comincia a comprendere il significato del rispetto dell’altro. È dalle scuole che si dà senso ai principi di uguaglianza ed è lì che si impara l’educazione ambientale, il valore della sostenibilità e l’uso corretto degli strumenti e dei linguaggi digitali. Sono aspetti che non possiamo lasciare in secondo piano e su cui dobbiamo lavorare. Per questo mi auguro che tutti voi possiate promuovere questa campagna di firme. Dobbiamo raggiungere 50mila firma entro la fine dell’anno per portare in Parlamento questa proposta di legge che comunque è già stata accolta con entusiasmo dai senatori Matteo Renzi e Caterina Biti, che hanno partecipato alla cerimonia e che ringrazio.

Riappropriarsi delle basi fondamentali della società partendo dai banchi di scuola è un altro aspetto che non è affatto slegato dalla giornata di oggi e da ciò di cui parliamo perché lo sforzo della memoria si può sposare con una vera missione educativa. Perché, per dirla con parole non mie ma del grande leader sudafricano Nelson Mandela, ‘L’educazione è l’arma più potente che si può usare per cambiare il mondo’. E proprio pochi giorni fa abbiamo celebrato con Massimo Gramigni e gli amici del Mandela Forum il centesimo anniversario della nascita di Nelson Mandela, colui che dichiarò, al cospetto del tribunale che lo condannò a 26 anni di carcere e di lavori forzati, di essere pronto a dare la sua vita per i diritti del suo popolo contro l’oppressione. Un eroe antiapartheid, primo presidente del Sudafrica, premio Nobel per la Pace, cittadino onorario di Firenze. Grazie a quel Consiglio comunale degli anni ’80, era sindaco Morales, che votò in un dibattito molto acceso, niente affatto pacifico, questa importante intitolazione al leader sudafricano. Vi è una storia di amicizia e vicinanza che lega Firenze al Sudafrica e per questo sono onorato che la cerimonia di oggi si presenti in modo ancora più speciale delle altre volte. Ed è con grande onore che ringrazio l’ex presidente del Sudafrica Petrus Kgalema Motlanthe, membro dell’African National Congress, amico personale e compagno politico di Mandela, per la sua visita e per la sua partecipazione alle celebrazioni per la liberazione di Firenze. Anche il presidente Motlanthe, come Mandela ha trascorso a Robben Island 10 anni di prigionia e di lavori forzati. E lo ha fatto per un ideale, pronto a sacrificare la sua vita. Noi lo chiameremmo partigiano, non credo ci sia altro modo. È un partigiano sudafricano perché nazifascismo e apartheid hanno la stessa matrice. Pur distanti nel tempo, nelle culture e nei confini geografici hanno rappresentato due volti della stessa volontà di sopraffazione, due visioni della società fondate sull’uso della violenza e sull’esclusione del diverso e sulla cancellazione delle libertà personali a cominciare dalla discriminazione razziale.

La storia della liberazione dal nazifascismo, così come la lotta contro l’apartheid, ci insegnano che non dobbiamo arrenderci, che soprattutto i giovani non possono arrendersi nemmeno davanti a ostacoli che sembrano insormontabili. Quelle due lotte che parevano impossibili, furono allora vittoriose e dimostrano ancora oggi che tutto dipende da ciascuno di noi. Mandela lo diceva: ‘Ti renderai conto che il mondo comincerà a cambiare, il giorno in cui comincerai a cambiare te stesso’. Ed è anche questo il grande insegnamento della liberazione perché ogni partigiano ha compiuto un suo passo personale, ha compiuto un suo personale sacrificio di vita. Quelle lotte hanno permesso a noi e alle generazioni successive di crescere in un mondo dove parole come libertà, antifascismo, dignità della persona, possono risuonare in tutta la loro forza e bellezza. Cerco sempre di ricordare a me stesso che la libertà è un valore troppo grande e allo stesso tempo troppo fragile perché sia conquistata una volta per tutte.

La cerimonia di oggi cade in giorni in cui si susseguono episodi a sfondo xenofobo e razzista. Penso a quanto accaduto di recente nella nostra civile Toscana, a Empoli e a Pistoia. Poi arriva puntuale il commento: ‘È una goliardata, è una ragazzata’. Ma stiamo scherzando? C’è una lettura volutamente generica, riduttiva, banalizzante, superficiale della nostra società e soprattutto del comportamento dei giovani, che sono le prime vittime. Una lettura che porta a ridurre la storia e il futuro al presente. Tutto ciò è ingoiato dal presente come se non esistesse una dimensione dalla quale proveniamo. C’è qualcosa che sta cambiando profondamente nella nostra società italiana. Ce lo dobbiamo dire con grande chiarezza. Noi continuiamo a dibattere sulla domanda se il fascismo esiste ancora o no e cadiamo nella trappola del giudizio storico e semantica, senza accorgerci che la storia non si ripete mai, ma si sviluppa in epoche diverse e successive con fenomeni sociali e antropologici simili. Se il fascismo non si può ripetere come fatto storico, è altrettanto vero che le cause che lo hanno scatenato possono riproporsi con fenomeni dalle diverse sembianze ma con gli stessi effetti, se non addirittura più pericolosi.

‘Il fascismo è divenuto un fatto di costume. Si è identificato con la psicologia antisociale di alcuni strati del popolo italiano’. Non sono parole mie queste, ma di Antonio Gramsci scritte nell’aprile 1921 quando l’Italia neanche immaginava cosa sarebbe potuto accadere quasi 20 anni dopo. E che cosa è quello di oggi se non un fatto di costume disprezzare il diverso, l’omosessuale, colui che ha il colore della pelle diversa, lo straniero. È un fatto di costume ritenere che qualunque immigrato per principio sia un criminale. Che cosa è se non una psicologia antisociale quella che sentiamo continuamente risuonare alla televisione, sui social media, sui giornali e che ci porta a diffidare del prossimo, a odiare il prossimo, il nostro paese vicino, il nostro comune e il nostro vicino di casa. Vedete come cambiano i nomi dei fattori storici, come cambiano le facce delle generazioni, ma c’è sempre una matrice. E vedete, come oggi più che mai, noi dobbiamo accorgerci di tutto questo. Non noi che siamo qui, ma tutti coloro che non sono qui o che non vogliono venire o che non hanno alcun interesse a venire. Proviamo a togliere la parola fascismo dalle parole di Gramsci e ci accorgeremo quanto quelle parole possono essere integralmente contenute in un’analisi attuale della deriva che sta prendendo la società italiana e la società europea. Sennò di cosa stiamo parlando? Di una discussione tra storici? Stiamo parlando delle nostre vite, di quelle dei nostri figli.

Ancora una volta le vittime sono i nostri cittadini, il nostro popolo che è esposto a pericoli da risvolti inquietanti. Gli italiani ancora una volta si ritrovano vittime di un discorso pubblico ambiguo, vagamente ideale, ma profondamente malevolo e divisivo. Un discorso che ci porta a odiare, che sfrutta cinicamente le nostre umane fragilità, le nostre umane paure per rivolgerle verso un progetto di odio, di intolleranza e di speculazione politica. È un discorso che si anima anche di un linguaggio politico che ci mette gli uni contro gli altri, che ci porta a indicare prima un nemico, prima ancora di definire ciò che noi pensiamo. È un discorso pubblico che sentiamo nei talk show, nelle piazze e nelle famiglie che stanno a casa a guardare le tv e che ci obnubila di fronte al senso vero della convivenza. I primi responsabili sono i politici che oggi esercitano il potere del Paese e quindi voglio dire a chi ha chiesto il voto dei cittadini e ha la responsabilità di governare l’Italia e ha giurato sulla Costituzione che ha il dovere di dissociarsi in modo chiaro e inequivocabile da chi alimenta odio sociale, violenza e da chi definisce goliardate o stupidate qualunque forma di gesto atto che anche solo indirettamente possa essere animato da odio xenofobo e razzista. Questa è un dovere, diciamolo da Firenze. Perché ricordare la liberazione vuol dire essere testimoni diretti di oggi. L’impegno principale che ci dobbiamo assumere per dirci antifascisti è lavorare ogni giorno con pazienza nei nostri luoghi di lavoro, quando siamo a scuola, sull’autobus, nelle fabbriche, in silenzio per costruire le condizioni di un maggiore sviluppo sociale e culturale, di un’integrazione migliore, per favorire una conoscenza della nostra storia. Non smettiamo mai di parlare ai nostri figli di come hanno vissuto i nostri nonni e bisnonni e del nostro Paese perché i bambini hanno bisogno di una roccia alla quale appoggiarsi. Hanno bisogno di un terreno solido sul quale camminare. Dobbiamo riscrivere insieme un nuovo vocabolario di libertà che parla di diritti e di doveri, dobbiamo risvegliare i nostri giovani da un torpore a volte drogato dall’appiattimento culturale dei media, ma senza colpevolizzarli. Se i ragazzi sbagliano non è colpa loro. È colpa di chi vuole insegnare loro come si vive e ha il dovere di farlo: delle famiglie e delle scuole. Scuola e società devono ritrovare il senso di un grande patto, un patto di civiltà perché se non faremo questo nella nostra quotidianità e ci limiteremo al solo esercizio, pur necessario e apprezzabile, del ricordo ogni anno saremo sempre di meno. Se oggi siamo così tanti evidentemente qualcosa sta cominciando a cambiare. Anche chi sottovalutava il clima che c’è in Italia sta cominciando a capire che non basta rimanere in silenzio. Noi dobbiamo essere sempre più determinati, presenti e attivi per proteggere la libertà di questo Paese e della nostra magnifica città. In questi 74 anni forse mai come ora Firenze è chiamata nuovamente  a resistere. Ovviamente con strumenti nuovi, pacifici, non violenti, ma il senso dell’urgenza di questo appello a cui Firenze deve rispondere è fortissimo e io so che Firenze saprà rispondere a questo appello e saprà essere ancora una volta un modello per l’Italia meritevole di questa medaglia d’oro al valore militare impressa per sempre sul nostro Gonfalone.

Vi ringrazio con tutto il cuore e dico insieme a voi viva Firenze, viva la Repubblica italiana e viva la Liberazione”.

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