L’intervento del sindaco sull’Arengario di Palazzo Vecchio
Oggi, 25 aprile, Firenze ha ricordato il 73esimo anniversario della Liberazione nazionale. Le celebrazioni in città, medaglia d’oro della Resistenza, sono iniziate alle 10 in piazza Santa Croce, dove è stata deposta una corona di alloro ai Caduti di tutte le guerre alla presenza delle autorità civili, militari e religiose con i gonfaloni del Comune di Firenze, della Regione Toscana e della Città metropolitana di Firenze, la bandiera del Comitato Toscano di Liberazione Nazionale del Corpo Volontari della Libertà e i labari delle associazioni dei partigiani. A seguire le preghiere di suffragio e un corteo che ha raggiunto piazza della Signoria, dove sull’Arengario di Palazzo Vecchio si è tenuta la cerimonia ufficiale con l’intervento del sindaco Dario Nardella e l’orazione ufficiale della vicepresidente nazionale dell’Anpi Vania Bagni.
Nel corso della cerimonia al partigiano Antonio Crepaldi, che partecipò alla Liberazione di Firenze e attualmente residente a Pavia, è stata consegnata una pergamena e il ‘Giglio della Liberazione’.
Le celebrazioni si concluderanno alle 17.30 sull’Arengario di Palazzo Vecchio con il concerto per la cittadinanza della Filarmonica ‘Gioacchino Rossini’.
Di seguito l’intervento del sindaco Nardella:
“Buongiorno a tutti e buon 25 aprile!
Siamo qui, sempre di più, più dell’anno scorso, e più ancora di due anni fa, per festeggiare insieme il 73° anniversario della Liberazione dell’Italia dal regime nazifascista. Il 25 aprile è il giorno simbolico nel quale ricordiamo la lotta di liberazione italiana per cacciare l’oppressore nazista e ciò che rimaneva del regime fascista.
Credo che come ogni anno il primo passaggio, doveroso in questa sede, come già hanno fatto i rappresentanti delle comunità religiose questa mattina in piazza Santa Croce con l’alzabandiera, sia cercare di ricordare quanto è accaduto; ricordare innanzitutto coloro che hanno perso la vita in questa battaglia per la libertà. Non possiamo mai dimenticare.
È doveroso per tutti noi provare a fare uno sforzo di immedesimazione con chi ha vissuto in quei giorni la lotta di liberazione. La festa della liberazione è infatti, prima di tutto, una festa di memoria: serve a ricordare che solo 73 anni fa non c’era libertà, non c’erano i diritti fondamentali, non c’era la democrazia e che, grazie a molte persone coraggiose, siamo riusciti a riconquistarle. Non c’è futuro senza memoria, nessun popolo può avere un futuro senza una sua memoria.
Ho avuto modo di ascoltare in questi giorni il messaggio radio di un grande italiano, Sandro Pertini, partigiano combattente, presidente della Repubblica italiana, che il 24 aprile 1945 proclamava lo sciopero generale a Milano: “Cittadini, lavoratori! Sciopero generale contro l’occupazione tedesca, contro la guerra fascista, per la salvezza delle nostre terre, delle nostre case, delle nostre officine. Come a Genova e Torino, ponete i tedeschi di fronte al dilemma: arrendersi o perire”. Se avete l’occasione di ascoltare il messaggio dalla sua voce vibrante, forte, viva lo troverete estremamente espressivo dello scontro che ha coinvolto il nostro Paese, della vera battaglia che si è combattuta nelle vie e nelle piazze delle città italiane.
Firenze nell’aprile del 1945 aveva già concluso la sua battaglia di liberazione. Tanti concittadini si impegnarono attivamente nella lotta contro il regime e ne uscirono vittoriosi già nell’agosto 1944. In tanti, donne, uomini, cittadini semplici, militari, partigiani, misero a rischio la propria vita, alcuni posero in pericolo le proprie famiglie, altri lasciarono tutto per andare in clandestinità, altri, tra cui tante donne, contribuirono come staffette per consegnare messaggi e materiale a gruppi di resistenti sparsi in varie zone della città. In ogni giornata del 25 aprile ricordiamo sempre le grandi persone, ma dedichiamo un’attenzione anche alle migliaia di persone, donne e uomini, a cui la storia non ha dato fama, ma che hanno dato un contributo altrettanto decisivo.
Non smetterò mai di ringraziare chi ancora oggi, tra quelli, testimonia cosa avvenne quei giorni nelle nostre strade, l’aria che si respirava, gli ideali che spingevano le persone ad impegnarsi in questa lotta. Come disse un grande fiorentino Piero Calamandrei: “Era giunta l’ora di resistere; era giunta l’ora di essere uomini: di morire da uomini per vivere da uomini”.
Ringrazio sentitamente, a nome di tutta Firenze e dei fiorentini, l’Anpi, oggi più che mai, che è protagonista di un lavoro quotidiano di memoria, nelle scuole e nelle Istituzioni, tra le persone per ricordare quanto accaduto. Un’associazione che non ha mai smesso di impegnarsi. Ringrazio l’Associazione anche per l’impegno che mette nel segnalare i nuovi estremismi che attraversano il nostro Paese e di cui troppo spesso non ci accorgiamo. Siamo troppo superficiali nel confondere questi estremisti come forme di libera espressione del pensiero. In questo lavoro l’Anpi è un faro che si accende ogni qualvolta è a rischio la nostra democrazia. E così anche l’impegno con gli enti locali, tra cui il Comune di Firenze è in prima linea, per garantire che tutte le manifestazioni e gli eventi ospitati in sedi istituzionali siano realizzati da forze democratiche e non siano occasione per lanciare messaggi dichiaratamente di apologia del fascismo.
La riflessione che vi voglio proporre parte da uno sguardo all’attualità perché ogni 25 aprile non è mai uguale all’altro. Viviamo, infatti, in una società molto lacerata, dilaniata da scontri sociali, dal razzismo, dove le disuguaglianze economiche crescono invece che attenuarsi. In questo contesto trovano ampio spazio messaggi politici che puntano alla distruzione, alla chiusura verso il mondo, verso gli altri, verso i diversi.
Molto spesso la retorica politica si aggrappa alla retorica dell’identità, un’identità declinata in modo negativo, esclusivista, usata come arma da brandire contro gli altri, come contraltare delle differenze. Movimenti politici che non hanno la possibilità di chiamarsi come dovrebbero e si chiamano identitari, travolgendo così completamente il significato di questa parola.
Identità, come scritto anche nell’ultimo libro lo storico Adriano Prosperi, diventa la base di partenza per giustificare guerre di religione, guerre politiche, odio per il diverso. È una difesa, una chiusura nel fortino per proteggersi da tutti gli altri. È uno strumento con il quale si sfruttano biecamente le fragilità delle persone che temono di perdere memoria, tradizione, cultura.
Credo che, in una giornata come il 25 aprile, non possiamo e non dobbiamo tralasciare questi aspetti e sia necessario per tutti noi riflettere su quanto sia importante riaffermare certi valori su cui è nata la nostra Repubblica. Patria, Nazione, Popolo: questi termini sono nella nostra Carta Costituzionale, sono parole usate con grande coscienza dai nostri Costituenti, risultato della lotta di liberazione e resistenza, che senso hanno oggi queste parole? Come possono essere utilizzate per alimentare un concetto positivo di libertà, di dialogo e confronto, che si costruisce insieme agli altri nel rispetto delle differenze? Siamo destinati a perdere completamente l’aspetto positivo di questi valori, per cui uomini e donne si sono impegnati nella guerra di liberazione? No! Dobbiamo ricordarli, dobbiamo utilizzarli, dobbiamo farli vivere come la nostra carne.
Sono convinto che non possiamo accontentarci e abbandonarci ad una retorica violenta, ideologica, populista, terrorista, fanatica che approfitta delle debolezze delle persone. E usa queste debolezze come merce per il consenso. Dobbiamo rilanciare tutti insieme da Firenze una visione positiva e non esclusivista della nostra identità: oggi dobbiamo recuperare il senso di un’identità collettiva non contro qualcuno, ma per qualcosa. Una giornata come il 25 aprile, che è segno di unità del nostro Popolo e della nostra Nazione, serve anche e soprattutto a questo.
Di fronte alle ansie delle persone, alle fragilità, alla paura del diverso, di chi non si conosce, l’alternativa non è solo tra alimentare queste posizioni o far finta che non esistano. Occorre una proposta democratica, civile con un messaggio forte che torni a considerare la ricchezza delle diversità come un valore, l’accettazione di ciò che è distante come un pregio.
Per questo voglio rilanciare qui due parole di riferimento che sono anche temi sociali, civili, politici: legalità e inclusione. La risposta alle complessità del nostro tempo deve nascere all’interno del sistema democratico di formazione delle leggi e delle regole del vivere comune, non può prescindere dai valori, dai messaggi, dalle testimonianze che la Costituzione porta con sé, e quindi, dall’inclusione e dal rispetto sociale. La legalità è tutela per tutti, soprattutto per i più deboli, e l’inclusione è una delle forme di espressione più alte dell’animo umano. Sono convinto che tutto ciò sia parte della testimonianza dei nostri partigiani; della nostra storia; loro, i nostri partigiani, hanno combattuto per una società in cui le differenze di etnia o religione o cultura non rappresentassero una condanna.
Anche per questo da Firenze abbiamo deciso di lanciare a tutta Italia una proposta di legge popolare con a tema l’educazione alla cittadinanza. Lo scorso 11 agosto, in occasione della liberazione di Firenze, mi ero preso questo impegno, che 7 mesi dopo abbiamo presentato pubblicamente come iniziativa della città.
La legge di iniziativa popolare ha l’obiettivo di introdurre un’ora settimanale di educazione alla cittadinanza, come disciplina autonoma con propria valutazione, in tutti i curricola, in tutte le scuole di ogni ordine e grado perché é dai banchi delle nostre scuole che ricostruiamo un senso civico di appartenenza e di rispetto. Abbiamo istituito un gruppo di lavoro coordinato dalla vicesindaca Cristina Giachi, con i nostri parlamentari che sono qui e ringrazio. Porteremo avanti questa proposta che possa contenere tante materie, dall’insegnamento delle istituzioni dello Stato italiano e dell’Unione Europea, all’educazione ambientale, all’educazione digitale perché viviamo in un mondo dove il linguaggio digitale rappresenta uno strumento pieno di prospettive, ma anche pieno di rischi e pericoli che vanno conosciuti. Assistiamo, infatti, troppe volte a comportamenti lesivi delle minime regole di convivenza e non possiamo solo confidare nell’attività di repressione. Noi abbiamo le nostre forze dell’ordine, non dobbiamo smettere di ringraziarle, ma quando arriviamo alla repressione, alla punizione la società ha già perso. Quando si arriva a sanzionare una persona vuol dire che non siamo stati capaci di evitare che ciò che quella persona ha commesso non avvenisse. Per questo dobbiamo lavorare tutti insieme per formare buoni cittadini. Cittadini che si formano a partire dalla scuola. La missione che vogliamo lanciare da Firenze è quella di recuperare un nuovo civismo, anche a questo serve ricordare e celebrare il 25 aprile. Cosa significa oggi, infatti, essere partigiani? Non abbiamo guerre da combattere nelle strade e nelle piazze, e allora dobbiamo forse rimanere con le mani nelle tasche? O dobbiamo essere tutti noi partigiani del nostro tempo? E dunque affrontare un nemico che non è il nemico di allora, ma si presenta con sembianze diverse. Per questo dobbiamo lavorare per una cultura democratica e di civismo. Questo è il messaggio, che ancora di più oggi e in questi giorni, possiamo lanciare. Giorni nei quali abbiamo assistito a episodi gravi di bullismo, di violenza nelle nostre scuole, che la cronaca ha registrato in questi ultimi giorni: sono il segno di un disagio giovanile, di una sofferenza tra i giovani, sono il segno di una problematica sociale. Questo disagio va incanalato nei giusti percorsi, non possiamo soltanto punirlo, dobbiamo ascoltare i nostri giovani. Un ragazzo che si sente già escluso dalla società, che viene anche espulso dalla scuola non potrà più avere opportunità di tornare a sperare di essere un buon cittadino. Dobbiamo costruire una scuola che non sia solo basata sulla punizione e sull’espulsione, ma che metta prima di tutto l’educazione e l’ascolto. I nostri giovani sono delle piante fragili, se non siamo capaci di farle crescere non possiamo dare loro la colpa. Noi società dobbiamo essere i primi a sentire queste indicazioni. Sono indicazioni che hanno un valore anche in relazione alla situazione internazionale, complessa e instabile, interessata da conflitti armati alle porte del Mediterraneo. Lo scenario in Siria e nel Medio Oriente è ancora macchiato dal sangue di civili innocenti, spesso utilizzati come strumento per le strategie di comunicazione delle opposte fazioni. Sicuramente dobbiamo condannare i regimi che utilizzano armi chimiche e non convenzionali sulla popolazione inerme, ma allo stesso tempo dobbiamo sempre ricordarci che quando è in atto uno scontro armato sono sempre i più deboli a pagare il prezzo più alto: per questo, proprio nel giorno in cui festeggiamo la Liberazione e di fatto la fine della Seconda guerra mondiale nel nostro Paese, lanciamo da Firenze, città medaglia d’oro della Resistenza, la città di Giorgio La Pira, un appello per la pace in Siria. Firenze, città del dialogo e del confronto, chiede alla comunità internazionale, ai paesi occidentali, alle forze siriane e a tutti gli attori in campo di cessare l’offensiva militare, sperando che qualcuno possa ascoltare questa città. Perché come è stato detto proprio ieri in occasione della Conferenza internazionale sul futuro della Siria, “la Siria non è una scacchiera, non è un gioco geopolitico, la Siria appartiene ai cittadini siriani” e “sono i siriani che devono decidere da soli il futuro del loro Paese”. Nessun popolo deve attribuirsi l’iniziativa unilaterale di imporre a un altro le regole. Dobbiamo garantire che pace e democrazia crescano, ma nel rispetto dell’autodeterminazione dei popoli.
Ricordiamo quello che abbiamo conquistato, quella libertà che oggi diamo troppo per scontata, la democrazia che non è un sistema fisso nel tempo, ma che muta con l’evolversi della società. Impegnarci per mantenerla, anche con la costruzione di luoghi significativi. Per questo pochi giorni fa abbiamo dato il via libera definitivo al progetto di restauro del Memoriale italiano di Auschwitz, grazie alla collaborazione di tante istituzioni cittadine: Regione Toscana, Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze, Opificio delle Pietre dure e, ovviamente, Aned, di cui abbiamo colto l’invito ad ospitare l’opera che per decisione della direzione del museo polacco non poteva più restare nel luogo per cui era stato concepito.
È un ben segnale, significativo per la Città e per le nuove generazioni. Abbiamo portato in fondo un grande progetto, quello di realizzare a Gavinana un luogo di memoria. Lì andranno tutte le scuole della nostra regione e speriamo tutte le scuole d’Italia. Lì i giovani potranno abbeverarsi ad una fonte nuova fatta di messaggi che appartengono alla nostra storia.
Abbiamo voluto il Memoriale a Firenze quando c’era il rischio concreto che finisse smantellato perché Firenze, medaglia d’oro della Resistenza, è un luogo ideale per parlare di memoria per consegnare alle nuove generazioni la nostra eredità più importante, il saper distinguere il bene dal male. Per questo il 25 aprile è un giorno di memoria, di riflessione, ma anche di progettazione. È un giorno nel quale tutti noi ritroviamo questa identità collettiva, questi valori con iniziative, azioni, progetti. L’uomo ha bisogno di fare cose per onorare la propria memoria e Firenze è orgogliosa di questa operosità e di questa capacità di seminare semi di dialogo, di rispetto e di democrazia. E quindi con questo spirito vi ringrazio tutti per essere qui e insieme a voi dico ‘Viva Firenze, viva la Repubblica italiana libera e democratica e viva il 25 aprile!”. (fp)