“Per il Partito Democratico, quello che produrrà smentisce il suo titolo: nessuna sicurezza; non un solo investimento in prevenzione, zero euro agli enti locali, nessuna risorsa per l’aumento dell’organico e un rinnovo adeguato del contratto delle forze dell’ordine, ma meno libertà, una grave repressione del dissenso e un particolare accanimento verso alcuni gruppi sociali.
È ripartito – spiegano il capogruppo del Partito Democratico Luca Milani con i vice capigruppo Cristiano Balli e Alessandra Innocenti – l’iter del ddl sicurezza. Dopo l’approvazione a settembre alla Camera, è ora in esame al Senato. Cosa prevede? L’introduzione di nuovi reati, inasprimento delle pene, repressione del dissenso: è un provvedimento “corposo”, 38 articoli, che hanno sollevato non solo critiche, ma un vero allarme democratico.
Ci sono molti nuovi reati, molte nuove aggravanti e innalzamenti di pena, una significativa estensione della carcerazione, l’autorizzazione agli agenti di pubblica sicurezza a detenere e a portare senza licenza armi, anche quando non sono in servizio.
Ma non c’è nessun investimento sulla prevenzione, sulla rigenerazione urbana, sulle marginalità sociali, sulle condizioni degli istituti penitenziari e sulla funzione rieducativa della pena, o sulle condizioni di lavoro del personale delle forze di pubblica sicurezza e penitenziarie.
È insomma un disegno di legge – continuano Milani, Balli e Innocenti – che cerca di affrontare alcune questioni di indubbia rilevanza sociale attraverso la sola prospettiva repressiva, spingendosi a punire anche condotte che costituiscono, più che una minaccia alla libertà e alla sicurezza dei cittadini, forme di manifestazione del dissenso o di reazione, non violenta, a condizioni di particolare degrado, non per niente è stato ribattezzato decreto anti Gandhi.
Gran parte delle disposizioni manifesta un tratto politico e culturale che è tipico dell’azione di questo Governo, e che si potrebbe sintetizzare nell’avversione al pluralismo e alle manifestazioni del dissenso superando ogni limite posto dalla Costituzione o dal diritto europeo.
Ciò è particolarmente evidente nell’art.14 che introduce il reato di “blocco stradale” e punisce con la reclusione chi impedisce la circolazione, stradale o ferroviaria, anche solo con il proprio corpo, attraverso comportamenti non violenti, come spesso accade in occasione di scioperi o cortei di protesta. Ma emerge anche dall’irragionevole previsione contenuta negli articoli 26 e 27 che riconducono le condotte di resistenza passiva (come ad esempio il rifiuto non violento di rientrare in cella o l’astensione dal cibo) nell’ambito del delitto di rivolta all’interno di un istituto penitenziario (art.26) o di un CPR (art.27), equiparando tali condotte a quelle di chi partecipa alla rivolta “mediante atti di violenza o minaccia”.
Non c’è alcun investimento sugli istituti di pena, né sul personale, che continua a essere carente, né sulle strutture che necessitano di serie manutenzioni e ristrutturazioni, né vi è alcuna nuova misura alternativa al carcere, neanche quelle sperimentate con successo durante la pandemia, e non vi è neppure traccia di un qualche investimento per garantire l’accesso a quelle esistenti da parte di tutti coloro che ne avrebbero diritto. Vi è invece una limitazione dell’istituto del differimento pena per le donne incinte o madri di prole di età inferiore ai tre anni, che finirà quasi inevitabilmente per comprimere l’interesse preminente del minore, specie in un contesto nel quale vi sono solo 4 Istituti a Custodia Attenuata per detenute Madri (a Torino, Milano, Venezia e Lauro). Il ddl sicurezza riesce a peggiorare anche il codice Rocco difatti: non prevede più la obbligatorietà del differimento della pena per le donne incinte e le madri dei bambini fino ad un anno d'età e questo da la cifra dell' idea di sicurezza di questo governo.
Il sovraffollamento, com’è noto, ha raggiunto livelli insostenibili e con questo ddl rischia solo di crescere ulteriormente, e con esso il disagio e la sofferenza dei ristretti e l’insicurezza dei cittadini liberi. I direttori, gli agenti e il personale amministrativo e del trattamento per quanto diano quotidianamente prova di grande dedizione e professionalità, non sono messi nelle condizioni di poter garantire un’esecuzione della pena conforme ai precetti costituzionali e in grado di offrire ai detenuti un’opportunità di crescita e reinserimento sociale: e ciò solleva (anche) una questione di sicurezza dei cittadini liberi. Perché, come dimostrano tutti gli studi condotti sul tema, laddove l’esecuzione della pena è in grado di offrire una possibilità di reinserimento e “rieducazione” i tassi di recidiva diminuiscono in maniera significativa. Mentre laddove la pena è mera privazione della libertà, scontata in condizioni di degrado, i tassi di recidiva crescono. E comunque, prima di introdurre nuove fattispecie incriminatrici o inasprimenti delle pene detentive occorrerebbe riflettere sul dato crescente e allarmante dei suicidi, dall’inizio dell’anno si sono tolte la vita ben 84 persone detenute: una tragedia umana e una sconfitta delle istituzioni a cui non ci si può rassegnare.
E’ l’espressione di una politica dell’immigrazione che conosce solo la dimensione repressiva e l’ampliamento e la realizzazione di nuovi CPR, è una politica che aumenta solo la sofferenza, la paura e l’esclusione sociale, non certo la sicurezza di qualcuno. L’irragionevolezza e la disumanità delle disposizioni che hanno prolungato i tempi di trattenimento e quelle che ora si limitano a criminalizzare qualsiasi forma di resistenza, anche passiva e non violenta, all’interno dei CPR, sono evidenti; così come l’irragionevolezza della disposizione che impedisce allo straniero che non ha, o non ha ancora, il permesso di soggiorno di acquistare una carta SIM. Quali benefici possa portare alla sicurezza collettiva un simile indiscriminato divieto è infatti piuttosto difficile da capire. Mentre è evidente – concludo il capogruppo PD Luca Milani con i vice capogruppo PD Cristiano Balli e Alessandra Innocenti – la limitazione che esso comporta all’esercizio di diritti fondamentali, come la libertà di comunicazione e i diritti che da essa possono dipendere, basti pensare alla necessità di contattare con urgenza un medico. Così come è abbastanza evidente il rischio che un simile divieto finisca con il favorire un commercio occulto di schede telefoniche, che non contribuisce certo alla identificazione degli utilizzatori.
E poi naturalmente occorre riscrivere radicalmente quelle disposizioni, del tutto eterogenee e prive di qualsiasi giustificazione, che vietano l’importazione, la cessione, la lavorazione, la distribuzione, il commercio, il trasporto, la spedizione e la consegna della canapa industriale, mettendo così a rischio una filiera agroalimentare innovativa e di eccellenza che occupa in Italia più di 15 mila persone.
Questo decreto, non serve a garantire quella sicurezza che è invece necessario garantire a ogni persona affinché possa esercitare i propri fondamentali diritti di libertà e di partecipazione, individuale e collettiva”. (s.spa.)