Chiesta la revoca della condanna a morte e la liberazione immediata della sindacalista iraniana Sharifeh Mohammadi

Approvata risoluzione in Commissione Pari opportunità, pace, diritti umani, relazioni internazionali, immigrazione

La Commissione Pari opportunità, pace, diritti umani, relazioni internazionali, immigrazione, presieduta da Stefania Collesei, ha approvato la risoluzione “Per chiedere la revoca della condanna a morte e la liberazione immediata della sindacalista iraniana Sharifeh Mohammadi” proposta dai consiglieri Stefania Collesei (PD), Luca Milani (PD), Caterina Arciprete (AVS – Ecolò), Giovanni Graziani (AVS – Ecolò) e Vincenzo Maria Pizzolo (AVS – Ecolò). La risoluzione è stata, inoltre, sottoscritta dai consiglieri Andrea Ciulli (PD), Dmitrij Palagi (SPC) e Renzo Pampaloni (PD).

L’attivista Sharifeh Mohammadi è stata condannata a morte dal tribunale rivoluzionario di Rasht, nella regione del Gilan, nel nord dell’Iran, dopo aver subito una detenzione di oltre sette mesi. Mohammadi è accusata di “ribellione armata” (baghy) per il suo impegno nel movimento sindacale, nonché di appartenere al partito curdo Komala, che Teheran considera un’organizzazione terroristica. Quest’ultima accusa è stata smentita dalla difesa dell’attivista, mentre è stata riconosciuta la sua affiliazione al Comitato nazionale di coordinamento per l’assistenza ai sindacati (LUACC), nonostante questa risalga a circa dieci anni fa e non si tratti di un’associazione illegale.

Secondo la testimonianza della cugina Vida Mohammadi, Sharifeh non era iscritta a nessuna organizzazione in Iran o all’estero e la sua attività in difesa dei diritti delle donne e dei lavoratori era indipendente. Mohammadi, 45 anni, è stata arrestata il 5 dicembre dello scorso anno a Rasht da agenti dell’intelligence iraniana, che hanno ispezionato casa sua e confiscato alcuni effetti personali. In seguito la sindacalista è stata detenuta in diverse strutture, prima nella prigione di Sanandaj, nel Kurdistan iraniano, fino ad arrivare nel carcere di Lakan a Rasht, subendo torture e trattamenti degradanti, nonché il regime di isolamento per diversi mesi. Prima ancora della condanna a morte la madre dell’attivista aveva denunciato di non avere sue notizie da tempo, mentre il marito Siros Fathi è stato arrestato per il suo impegno a favore della liberazione di Sharifeh, salvo poi essere rilasciato. (s.spa.)

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