“Ho letto con inquietudine le dichiarazioni di un professore associato dell’Università di Firenze, affiliato alle organizzazioni Pro Vita. Un dipendente pubblico che mette in discussione la garanzia di un servizio pubblico stabilito per legge.
Sulle scelte intime e personali delle persone – spiega la Presidente della Commissione Pari opportunità, pace, diritti umani, relazioni internazionali, immigrazione Donata Bianchi – è sempre buon gusto non fare esercizi di facile ideologia, come pare essere in questo caso la proposta del suddetto docente di tagliare i finanziamenti pubblici al sistema nazionale per quella parte destinata a sostenere le interruzioni di gravidanza. Tale proposta crea inquietudine perché la prestazione sanitaria è dovuta in base al dettato della legge 194/78 che, al momento e per fortuna, è una legge ancora in vigore. La sua applicazione è il vero problema, in particolare crea ostacoli la pratica dell’obiezione di coscienza che si configura in talune realtà come interruzione di servizio pubblico dovuto. Nel 2018 le Regioni hanno riferito che ha presentato obiezione di coscienza il 69% dei ginecologi, il 46,3% degli anestesisti e il 42,2% del personale non medico, valori in leggero aumento rispetto a quelli riportati per il 2017 e che presentano ampie variazioni regionali per tutte e tre le categorie. Bene ha fatto quindi la Regione Lazio a prevedere concorsi ad hoc per selezionare e assumere solo ginecologi non obiettori al fine di garantire un diritto.
La pandemia ci ha mostrato la drammaticità della povertà relativa e assoluta che c’è nel nostro Paese, cui si aggiunge una maggiore vulnerabilità della cosiddetta classe media. Alla povertà economica – prosegue la presidente Donata Bianchi – si associa sempre la povertà sanitaria, immaginiamo cosa vorrebbe dire negare questa prestazione. Cancellare una legge segno di grande civiltà e laicità, lascerebbe facile terreno al ritorno delle tristemente famose “mammane” e facili guadagni alle cliniche private, dove, ahimè non raramente, operano gli aborti i medesimi medici che nel servizio pubblico si professano obiettori.
Con la legge 194/78 in Italia l’interruzione volontaria di gravidanza è una pratica gratuita, proprio perché è un diritto riconosciuto ad ogni donna, a prescindere quindi dalle condizioni economiche. La gratuità di tutto l’iter vale all’interno del Servizio sanitario nazionale, ed è un servizio garantito anche alle donne che non hanno la cittadinanza italiana.
Il corpo delle donne è terreno di conquista a seconda dei costumi e delle culture, la garanzia del diritto all’interruzione di gravidanza è costantemente messa in discussione da coloro che sono impauriti dalla libertà delle donne, dalla loro autodeterminazione.
L’ultima Relazione del Ministero della Salute sull’attuazione della legge – conclude la Presidente della Commissione Pari opportunità, pace, diritti umani, relazioni internazionali, immigrazione Donata Bianchi – mostra che il fenomeno è in costante diminuzione a partire dal 1983. Tutti gli indicatori confermano il trend in diminuzione: il tasso di abortività (N. IVG rispetto a 1.000 donne di età 15-49 anni residenti in Italia), che è l’indicatore più accurato per una corretta tendenza al ricorso all’IVG, è risultato pari a 6,0 per 1.000 nel 2018, con una riduzione del 4,0% rispetto al 2017 e del 65,1% rispetto al 1982. Il discorso sui costi rischia di essere ben poco chiaro se non confrontato con i dati ufficiali, ciò che è aumentato, ma ci sono enormi margini di miglioramento da esplorare, è l’attività complessa legata alla 194, con più investimenti, ma a macchia di leopardo, nell’importante ruolo del consultorio nella prevenzione dell’IVG e per il supporto alle donne che decidono di interrompere la gravidanza”. (s.spa.)