"Chi è stato Consigliere comunale dovrebbe ricordare il senso delle istituzioni. Evidentemente si presuppone una visione del potere pericolosa"
Queste le dichiarazioni di Dmitrij Palagi e Antonella Bundu - Sinistra Progetto Comune
"Ci risiamo. Il Console onorario di Israele lancia altri anatemi. Di nuovo a danno di Palazzo Vecchio. Probabilmente per lui è inaccettabile che esista una pluralità di idee. Tutto deve corrispondere a cosa lui crede e valuta. Altrimenti si costruisce una fumosa retorica in cui vengono tirate nel mezzo persino le Brigate Rosse.
Eccola qua quindi la visione di chi deve aver dimenticato cosa vuol dire sedere nel Salone de' Dugento: il disprezzo verso ogni possibilità di dialettica. Però in nome della presunta pace, che è una pace intesa come intolleranza in un contesto di pace (quale è la città di Firenze).
La nostra Città ospita più iniziative, con più punti di vista. Mercoledì scorso non ci pare di aver visto il Console onorario a quella introdotta dall'Associazione Italia-Israele e dal Presidente della Comunità Ebraica, prima dell'intervento di due persone attive nei Kibbutz.
Non sappiamo se lo vedremo domenica, all'appuntamento pensato dal Presidente del Consiglio in collaborazione con la coalizione Assisi Pace Giusta.
E sicuramente non ci sarà il 24 febbraio, perché arriva ai limiti della diffamazione nel descrivere le importanti voci previste.
È preoccupante questo modo di porsi. Perché il Console onorario si lega a un potere esecutivo, rispetto al quale - in ogni democrazia - c'è necessità di rispettare le altre forme di rappresentanza elettiva. Inoltre manca di rispetto a realtà associative storiche e radicate sul territorio, i cui caratteri distintivi sono antirazzismo e antifascismo.
Poi si stupisce se c'è chi ritiene inopportuno il suo incarico come Presidente della Fondazione Meyer.
Speriamo che il Console onorario voglia accettare un confronto pubblico. Il Consigliere Cocollini ha già detto che a lui non interessa. Ma magari potrebbero aprirsi un po' di più all'idea che viviamo in democrazia". (fdr)