Draghi (Vicepresidente Consiglio comunale): "Occorre lavorare per una vera pace in Medio Oriente"

"Tra un mese esatto ricorreranno i vent’anni dalla morte di Yasser Arafat, ex Presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese e celebre leader della resistenza del suo popolo. Un anno fa, con il consenso unanime della Commissione V, proposi l’intitolazione del nuovo ponte per la tramvia allo stesso Yasser Arafat e ad Yitzhak Rabin, protagonisti degli storici Accordi di Oslo e Premi Nobel per la pace nel 1994. Mentre nuovi venti di guerra soffiano sul Medio Oriente e la base Unifil del contingente italiano in Libano viene fatta oggetto di un attacco israeliano - rispetto al quale auspico una ferma condanna internazionale, come già avvenuto da parte del Ministro Crosetto - ribadisco e sottoscrivo quanto già affermato.

Recentemente, nelle aule di Palazzo Vecchio, è stato più volte affrontato il tema del conflitto israelo-palestinese: rispetto a quanto avanzato dalla maggioranza, il mio parere è spesso stato discordante. Ciò rappresenta una questione di metodo e non di merito. Ho più volte denunciato, infatti, l’ambiguo atteggiamento di una certa sinistra, più incline a strumentalizzare le tragedie del Medio Oriente per recuperare un consenso calante, piuttosto che tesa alla reale ricerca di un messaggio equilibrato e di sintesi. Se si appendono le bandiere della pace in ogni dove, però, si deve lavorare seriamente in quella direzione…

Chi mi conosce, sa che provengo da un percorso di militanza giovanile che ha sempre guardato con simpatia alla causa del popolo palestinese, che un tempo era quella dell’Olp, di Arafat e di Fatah, lontana da un certo fondamentalismo religioso e tesa alla ricerca di una legittimità politica internazionale. Quella mentalità l’ho riscontrata quando, viaggiando in Terra Santa, ho visitato la Cisgiordania e i campi profughi palestinesi, toccando con mano la difficile quotidianità di quella gente. Al riconoscimento di uno Stato palestinese, che condivido nel merito, deve però corrispondere un messaggio equilibrato, che non abbassi le istituzioni della città di Firenze al rango di un qualsiasi collettivo studentesco: questo - purtroppo - è sempre mancato. Chiedere che Israele torni nei confini antecedenti il 1967 - in un momento in cui autorevoli analisti denunciano l’invasione terrestre del Libano del Sud e la concreta possibilità di realizzazione militare della “Grande Israele” dal Nilo all’Eufrate - è semplicemente utopistico. È chiaro, in tal senso, che l’operazione della maggioranza è più propagandistica che politica: essa non contribuisce ad alimentare un percorso diplomatico attraverso un atto simbolico che possa essere letto e sottoscritto dalle parti in campo, ma si pone nell’ottica emotiva di prendere una posizione netta e unilaterale. Lo dimostra il fatto che non siano stati accettati alcuni emendamenti, che il governo di Tel Aviv sia grottescamente accostato al solito spauracchio del “fascismo”, che sia stato ostacolato il dibattito e che la discussione - in commissione e in aula - sia sempre stata orientata su schemi precostituiti e preventivi, anche nei riguardi di chi, come il sottoscritto, viene da una storia politica sensibile al tema. 

Si dirà - ed è vero nella stragrande maggioranza dei casi - che la politica è sempre “polemos”: c’è da chiedersi, però, se un conflitto aperto possa essere commentato - dalle istituzioni di una delle più importanti città del mondo - come se fosse una partita di pallone. Personalmente, malgrado il mio percorso giovanile e le mie posizioni personali, ritengo che le istituzioni abbiano il dovere civico e la responsabilità morale di operare nell’ordine di una reale pacificazione, attraverso gesti simbolici che tengano conto di tutte le tragedie e che cerchino - con ogni mezzo - la via del dialogo e della difficile riconciliazione: per chiedere un “cessate il fuoco” - dunque - occorre una piattaforma di proposte che analizzi l’oggi e che guardi al domani, mettendo da parte le ruggini di ieri. Proprio perché siamo a centinaia di chilometri di distanza, nel tepore dei nostri salotti, abbiamo il dovere di fare formalmente ciò che i diretti interessati non riescono a fare sul campo. È una questione di esempi, ma anche di rispetto e di stile. 

Ecco perché ho puntato il dito contro le liste di proscrizione del nuovo Partito Comunista - tese ad individuare presunti “agenti sionisti” sullo stile del brigatismo - ma al tempo stesso ho condannato i raid su Gaza e l’accanimento nei confronti di civili inermi. Ecco perché condanno le violenze del 7 ottobre e il lancio dei missili, ma al tempo stesso ritengo pericolosi i raid aerei - talvolta perpetrati contro Stati sovrani - che rischiano di incendiare un’intera regione. La difficile strada dei “due popoli in due Stati”, che oggi sembra irrealizzabile, è in realtà l’obiettivo che ogni organo istituzionale dovrebbe prefiggersi: nel mio piccolo, chiudendo il dibattito e non prestando più il fianco ad alcun tipo di polemica sul tema, lavorerò in quella direzione.

Lo scorso 23 ottobre, a Firenze, Padre Bernardo organizzò una fiaccolata per la pace che coinvolse tutte le comunità religiose della città: fu un momento toccante, dal quale ritengo che si debba ripartire".

Lo dichiara il vicepresidente vicario del Consiglio comunale Alessandro Draghi (FdI)

(fdr) 
 

Scroll to top of the page